Ernesto de Martino – DEFINIZIONE DEL TARANTISMO

Con il termine “tarantismo” può indicare allo stesso tempo la malattia di tipo isterico e convulsivo causata dalla fantomatica puntura di insetti e animali velenosi, che, più recentemente, il nome della cura stessa della suddetta patologia. 

Una pratica musicoterapica tradizionale di tipo “magico-religiosa” un tempo molto comune in Puglia e nelle regioni del sud Italia. Consisteva in un cerimoniale finalizzato alla cura delle persone e delle donne in particolar modo, colpite da fenomeni isterico-convulsivi. Secondo le credenze popolari tali manifestazioni erano attribuibili principalmente al morso di un ragno (taranta) o di una serie di insetti o serpenti velenosi. Particolare era il riferimento all’aracnide “Lycosa Tarentula”, effettivamente diffuso in molte zone del mediterraneo.

TARANTO E IL TARANTISMO

ll Termine “Tarantismo” deriva appunto da “Tarantola” o “Taranta” che a sua volta prende il nome dalla città di Taranto. Secondo alcune fonti storiche del ‘600 questi insetti erano particolarmente diffusi nella città Jonico-Salentina.

Gli ultimi strascichi di tale fenomeno furono analizzati e documentati solo nel ‘59 in Salento dall’antropologo Ernesto De Martino.

TARANTISMO. UN MALE INTERIORE DAI SINTOMI TANGIBILI

Il tarantismo, si manifestava nei mesi estivi. Il periodo coincideva in Puglia con la mietitura del grano. La patologia era costituita da sintomi di malessere generale quali: stati di prostrazione, depressione, malinconia, quadri neuropsicologici come catatonia o deliri, dolori addominali, muscolari o affaticamento. La maggior parte dei soggetti che ne denunciavano i sintomi erano donne. Il quadro poteva includere sintomatologie psichiatriche, come turbe emotive e offuscamenti dello stato di coscienza. La malattia includeva elementi che in passato si associavano alle nozioni di epilessia e isteria.

LA MALATTIA

Il tarantismo è un fenomeno con il quale si sono confrontate diverse scuole di pensiero e discipline: etnologia, psicologia, storia delle religioni, mitologia, estetica, medicina, antropologia culturale, etnomusicologia, zoologia, psichiatria. I tentativi di comprensione del complesso fenomeno non possono comunque prescindere da un approccio fortemente multidisciplinare. La questione del tarantismo non può dunque essere ridotta ad in un’analisi medico-diagnostica di carattere psicopatologico. Allo stesso modo non può essere etichettata semplicemente come un frutto dell’ignoranza e della credulità popolare. 

LA TERRA DEL “RIMORSO”

Grande contributo alla comprensione di tale fenomeno è stato senza ombra di dubbio dato dall’antropologo Ernesto De Martino nel suo saggio “La terra del rimorso”. Nel saggio vengono documentate una serie di casistiche poi analizzate in quadro generale, peculiare, culturale e ambientale.

Secondo De Martino il fenomeno dei “tarantolati” (affetti dalla malatta del tarantismo) è inquadrabile in due livelli che coesistono fra loro: il primo, dal punto di vista della tradizione e della pratica come un fenomeno di tipo culturale e religioso molto antico, successivamente  legato al culto di S. Paolo (protettore degli animali velenosi) e il secondo, come la manifestazione di un malessere psichico che sfocia in una patologia. 

I due livelli (patologico e culturale-religioso) si intrecciano in una metodica accettata e ben definita dalla comunità. Una duplice lettura, sia il punto di vista del malessere che della cura. La tarantolata si autodichiara malata e “morsa” dal ragno e la comunità risponde con la cura musicoterapica. 

Benchè il tarantismo avesse una cura, e fosse inserito in un sistema culturale ben radicato nella società, il dichiararsi “tarantolati” rappresentava una vera e propria digrazia e vergogna per la famiglia colpita. Nello stesso tempo la sua manifestazione rappresentava una forma di liberazione fisica (periodica) di un problema intangibile che logorava la psiche della malata. www.karkumproject.it

Ernesto de Martino (Napoli1º dicembre 1908 – Roma9 maggio 1965) è stato un antropologostorico delle religioni e filosofo italiano.

Dopo la laurea in Lettere all’Università di Napoli nel 1932, con una tesi in Storia delle religioni sui gephyrismi eleusini sotto la direzione di Adolfo Omodeo, si interessa alle discipline etnologiche. Almeno fino al 1936 dimostra idee convintamente fasciste, iscrivendosi ai GUF e alla Milizia Universitaria, collaborando aL’Universale di Berto Ricci e facendo circolare in una cerchia ristretta di collaboratori un Saggio sulla religione civile poi rimasto inedito, in cui De Martino esprime idee non dissimili da quelle formulate negli stessi anni dalla Scuola di mistica fascista[1].

Il suo primo libro, Naturalismo e storicismo nell’etnologia (1941), è un tentativo di sottoporre l’etnologia al vaglio critico della filosofia storicista di Benedetto Croce. Secondo de Martino, l’etnologia solo attraverso la filosofia storicista avrebbe potuto riscattarsi dal suo naturalismo (tratto che accomuna, per de Martino, tanto la scuola sociologica francese che gli indirizzi “pseudostorici” tedeschi e viennesi). Fu lo stesso Croce a introdurre il giovane de Martino all’editore Laterza, suggerendo la pubblicazione del libro, in cui, nonostante qualche ingenuità, si può già scorgere in nuce l’idea del successivo lavoro sul “magismo etnologico”. Scritto negli anni della seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1948Il mondo magico è il libro nel quale Ernesto De Martino elabora alcune delle idee che rimarranno centrali in tutta la sua opera successiva.

Qui De Martino costruisce la sua interpretazione del magismo come epoca storica nella quale la labilità di una “presenza” non ancora decisa viene padroneggiata attraverso la magia, in una dinamica di crisi e riscatto. In quel periodo, De Martino comincia a militare nei partiti della Sinistra. Prima, dal 1945, lavora come segretario di federazione, in Puglia, per il Partito Socialista Italiano; influenzato da Gramsci e da Carlo Levi, cinque anni dopo, entra a far parte del Partito Comunista Italiano[3]. Anche per questa ragione, negli anni che seguono, de Martino comincia a interessarsi sempre di più allo studio etnografico delle società contadine del sud Italia. Di questa fase, talvolta detta “meridionalista“, fanno parte le opere più note al grande pubblico: Morte e pianto ritualeSud e magiaLa terra del rimorso.

Innovativo nelle sue ricerche fu l’approccio multidisciplinare, che lo portò a costituire un’équipe di ricerca etnografica. Ad esempio, La terra del rimorso è la sintesi delle sue ricerche sul campo (il Salento) affiancato da uno psichiatra (Giovanni Jervis), una psicologa (L. Jervis-Comba), un’antropologa culturale (Amalia Signorelli), un etnomusicologo (Diego Carpitella), un fotografo (F. Pinna) e dalla consulenza di un medico (S. Bettini). Nello studio del fenomeno del tarantismo vengono utilizzati anche filmati girati tra CopertinoNardò e Galatina. A queste monografie segue la pubblicazione dell’importante raccolta di saggi Furore Simbolo Valore (1962).

De Martino è stato collaboratore di Raffaele Pettazzoni all’Università “La Sapienza” di Roma, nell’ambito della Scuola romana di Storia delle religioni. Come ordinario di Storia delle religioni e di Etnologia, dal 1957 fino alla morte ha insegnato all’Università di Cagliari, dove ha avuto uno stuolo di allievi. Con Alberto Mario Cirese,Giovanni LilliuCesare Cases, la sua assistente Clara Gallini, e in seguito altri studiosi, quali Giulio AngioniPietro Clemente, e Pier Giorgio Solinas, saranno esponenti di una significativa scuola antropologica all’Università di Cagliari, della quale De Martino è stato uno dei fondatori.[4] La fine del mondo, pubblicato postumo nel 1977 a cura di Clara Gallini, è il primo e più importante di una serie di inediti con la cui pubblicazione si aggiungono elementi al ritratto di uno dei maggiori antropologi italiani del XX secolo.

Vuoi collaborare con noi? Per proposte di articoli scrivete a: livepizzica.altervista.org